VISIONE D'ARTISTA

Non aver studiato tecnica base di pittura è stato difficile per capire il senso di “essere artista”.

A me interessava disegnare e basta, qualsiasi fosse lo stile.

Sono una di quelle persone che quando entra in casa di qualcuno raddrizza i quadri e sposta gli oggetti secondo una logica dettata dal mio equilibrio nel vedere le cose.

Mi scuso in anticipo, se a casa trovate statuine spostate, non avete un fantasma, ma è probabile che sia passato io.

Amo molto osservarmi in giro, contemplare le opere degli altri per capirne la tecnica e cercare di immaginare i movimenti fatti per dare quella precisa pennellata.

Questa mia mania mi ha aiutato molto a crescere nel dipinto come autodidatta.

QUANDO TUTTO EBBE INIZIO

Iniziai a dedicarmi allo studio dello stile Realistico, ma non riuscivo ad appassionarmene.

Eseguire dipinti di oggetti o volti vorrebbe dire per me “riprodurre” cose esistenti, fini a se stesse.

Non lasciare spazio all’interpretazione dello spettatore è come togliere immaginazione, fantasia ed emozioni, pur sapendo che l’arte astratta ha difficoltà nell’essere accettata ed iniziando a convivere con l’idea che può darti e toglierti allo stesso tempo e che se tutto ciò che esiste nel panorama attuale è definito “Arte”, per forza di cosa ci saranno dissensi.

Le mie opere sono quindi personali, nate da emozioni quotidiane, realizzate senza uscire dalle “leggi dell’arte”, dalla pulizia e dal tentativo di dare una lettura all’opera stessa nel limite dei criteri e dal non trasgredire, come dico sempre…”abstract si, ma non trash”.

Sono realizzazioni visionarie, fantastiche e astratte. I risultati estetici, passano dunque in secondo piano e la ricerca di forme e colori sono assimilati dal mio stato d’animo in un determinato momento, facendo prevalere la visualizzazione oggettiva dell’opera.

Quello che provo a fare è raggiungere l’esasperazione del lato emotivo della realtà rispetto a quello oggettivo e percepibile.

In senso specifico ho l’intento di contrapporre alla visione impressionista, un’arte di pura espressione intima. Il tentativo di concretizzare uno schermo sul quale si proietta la mia vita interiore e personale legata a forti interessi umani ed ad un’accenno di protesta e ribellione, spesso, provocati dal contrasto tra gli ideali umani e la reale condizione dell’uomo.

Faccio in modo che gli sguardi cerchino di estrarre dall’opera l’elemento chiave e chiedersi perché e come l’artista è arrivato a tutto questo, da cosa è scaturita l’idea, dove e a chi vuole arrivare, lasciandone una lettura più emotiva e spirituale rispetto alla realtà, tentare quindi di capirne la concezione nell’esecuzione sapendo che il cervello umano ragiona in un modo diverso per ogni individuo e che sarà quindi sempre differente con la consapevolezza che nuovi stili, sopratutto quelli di avanguardia, fanno fatica nell’essere accettati poiché il pubblico resta legato a criteri dettati dalle abitudini e dal tradizionalismo.

L’arte contemporanea non è complessa, è da studiare e scrutare anche solo con una visione attenta che ceda la parola ad un sentimento quale estasi, rabbia, pace d’animo e curiosità.

“Le parole sono quindi meno importanti dell’opera”

FIGLIO DI MIO PADRE

Mio padre era un falegname, un arredatore di gallerie d’arte che costruiva cornici, cubi espositivi, mensole, vetrine, etc. etc. per la realizzazione delle mostre. Io già dipingevo e scolpivo, avevo forse 17/18 anni.

Un giorno lui mi suggerì di portare qualche mia opera alla gallerista del momento e così feci qualche giorno dopo. Entrai negli uffici e chiesi se era possibile dare uno sguardo alle mie opere, c’era un gruppetto di persone appartenenti alla galleria, si alzò la direttrice e mi disse:
“ Tu sei e sarai solo il figlio del falegname, come potremmo mai presentarti?”
“Come il figlio di mio padre” risposi. Me ne andai senza nemmeno aprire il mio book.

Da allora convivo con l’idea che la mia arte è mia, sono solo i miei pensieri messi su carta come un diario segreto, chi ne farà parte se lo deve aggiudicare.

STREET ART

Si è sempre studiato che ad influenzare lo stile dei pittori è il vissuto, l’epoca, le situazioni. Ai tempi era un’esigenza, una denuncia, una protesta ma anche un’affermazione di stile di vita.

Ad tratto ho volutamente iniziato a perdere di vista il metodo canonico di fare arte su tela e in studio, per cercare di portarla al di fuori ed esporla sui muri grigi della città….un tentativo di mostra urbana, dove si riconosca comunque il mio stile.

In questi momenti di creatività metto tutti i dolori e le speranze, in tutte le linee e colori ci sono le mie emozioni è come se vedessi due mondi, quello esterno “civiltà” e quello interno “coscienza”.

Anche quando tento di chiudere la mente, i vincoli che mi impongo si spezzano dall’esigenza di essere artista e artigiano.

“Nei periodi di difficoltà l’unica cosa che posso fare, è FARE!” per smaltire la mia oppressione dettata da una malattia chiamata ARTE.